LA QUESTIONE IRAN: RELIGIONE O DIRITTI UMANI?

Risale al 14 dicembre 2022 la decisione dell’ONU di espellere l’Iran dalla Commissione per i Diritti delle Donne, in seguito alla risposta estremamente violenta dei servizi iraniani nei confronti delle proteste contro l’omicidio, avvenuto dopo l’arresto del 13 settembre 2022, di Masha Amini, perpetrato dalla “polizia morale”, poiché la ragazza non aveva coperto completamente il proprio capo con l’hijab

Non è affatto nuovo che queste proteste, ancora in atto e oggetto delle cronache giornaliere, abbiano luogo in Paesi come l’Iran, governati da un regime teocratico e fondamentalista.

Tuttavia, i Paesi occidentali spesso dimenticano che i conflitti nelle cosiddette “zone calde” del Medio Oriente hanno alla base la violazione dei diritti umani, così come vengono riconosciuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’ONU o nelle Costituzioni di quegli Stati che vengono definiti sviluppati. 

L’articolo 1 della Dichiarazione afferma proprio:
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. 

Chiaramente, non solo in Iran sono avvenuti, e continuano ad avvenire, episodi di violenza e di oppressione nei confronti delle donne. Basti pensare al nuovo regime talebano ripristinato in Afghanistan, a causa del quale le donne afghane hanno subito un repentino e turbolento ritorno al passato, con attestate persecuzioni e minacce da parte dei talebani.

Spostando lo sguardo più a Occidente e, nello specifico, ai numeri dei femminicidi in Europa, ci accorgiamo che anche qui siamo ancora ben lontani dal raggiungere la tanto agognata parità di genere. Nel 2019 sono state uccise 1.421 donne, una media di quattro al giorno, una ogni sei ore: 285 in Francia, 276 in Germania, 126 in Spagna e 111 in Italia (fonte: Rai News-Eurostat). Innumerevoli, inoltre, sono i casi di violenza fisica e psicologica, che spesso non vengono neanche denunciati, poiché il carnefice vive a fianco della vittima ed incute in essa un senso di paura per la propria vita e per quella dei figli, i quali troppo frequentemente assistono alle vessazioni. Secondo un’indagine dell’Istat, nel primo trimestre 2022 oltre il 61,4% delle vittime di abusi dichiara che le violenze sono subite da anni, senza però aver mai sporto denuncia. 

L’azione della Commissione dell’ONU è stata interpretata dall’Iran come l’ennesimo smacco compiuto dagli Stati Uniti, il quale, secondo Russia e Cina, come riportato da Rai News, “creerà un precedente molto pericoloso“. Le parole dell’ambasciatore russo in proposito sono state: “Siamo profondamente dispiaciuti per la morte di Mahsa Amini, ma ci siamo incontrati dopo la morte di George Floyd?“, mentre quello cinese ha affermato che questa decisione “non faciliterà la soluzione dei problemi ma aumenterà lo scontro“.

Ѐ dunque più significativo e più urgente giungere ad una soluzione che abbia prima di tutto un risvolto mediatico, oppure continuare ad intervenire, non avendo la certezza che la controparte sia disposta ad accordarsi? Di fronte ad un sistema così rigidamente strutturato sulla teocrazia, è sufficiente la volontà di salvaguardare i diritti umani e, dunque, vite umane, per potersene definire garanti? Fino a che punto siamo disposti a sacrificare vite umane per una questione religiosa o culturale? Ma soprattutto, in seno ai dati sopra citati, siamo sicuri che l’Occidente sia effettivamente garante di una sicurezza in termini di pari opportunità e dignità politica e sociale? Oppure l’Occidente nasconde una discriminazione radicata, più subdola e sottile che, ad una prima analisi, non è semplice rilevare?

“Ho alzato la voce, non in modo da poter urlare, ma in modo da poter far sentire quelli senza voce … Non possiamo avere successo quando metà di noi rimane indietro”. Queste sono le parole di Malala Yousafzai, giovanissima attivista pakistana per i diritti civili e soprattutto per il diritto all’istruzione, la quale nel 2012 fu coinvolta in un attentato dei talebani, mentre andava a scuola. Nel 2014 riceve il Premio Nobel per la pace :è la più giovane in assoluto ad aver mai ricevuto questo riconoscimento. 

Le sue parole sono estremamente efficaci e rendono perfettamente l’idea di ciò che significhi protestare contro un sistema che non si mostra per niente collaborativo. Sono, infine, un invito, o meglio, una sollecitazione, a non adagiarsi sull’ottenimento dei diritti civili solo per una minoranza privilegiata, ma a continuare a combattere anche per coloro che non possono. 

Laura Bastianini, VAL

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